Non chiamatelo solo food: viaggio dal gastro anonimato alla food experience
C’era una volta il menù turistico, un concentrato di stereotipi e luoghi comuni gastronomici che alimentava il gastro-anonimato: a tavola se il turista chiudeva gli occhi e assaggiava ciò che aveva nel piatto poteva trovarsi ad Alghero come a Milano, ad Avellino come a Trieste.
L’assaggio del territorio, della sua storia e cultura agroalimentare, era roba per pochi eletti, illuminati o con la guida Michelin sotto braccio.
Ma oggi, e ancor di più domani, il turista, qualsiasi sia il motivo e la destinazione del suo viaggio, vuole ‘mangiare come un locale’ degustare i prodotti del posto, assaggiare l’autenticità, assaporare l’ospitalità indigena a tavola, e avere la netta sensazione di aver vissuto un’esperienza immersiva, totalizzante e indimenticabile.
La foodiscovery è il viaggio dell’eroe, che attraversando mondi e prove, giunto alla fine del suo nostos può gustare l’elisir, sia un Barolo o un Cannonau, magari in un locale stiloso, facendosi un selfie con lo chefstar di turno.
Ed è anche la nostalgia alimentare, un concept antropologico, che fa sì che il turista torni anno dopo anno sul luogo del delitto culinario, per ripetere quella food experience che coinvolge attivamente tutti e 5 i sensi ed è quindi mediamente più intensa di qualsiasi altra esperienza di viaggio.
Mettere le mani in pasta, imparare facendo, divertendosi imparando, degustare ed imparare, mangiare sostenibile, verde, responsabile, mangiare come i locali ma anche mangiare sociale, sentendosi parte di una comunità, ricercare locali estremi, inarrivabili, semi segreti (come la celebre Soho secret tea room a Londra), cercare una ristorazione personalizzata, su misura (alcuni ristoranti si chiamano come sartorie, Asola, Sarti del gusto, non a caso) fanno parte dei tanti trend, diversi quanto le tipologie di turista, anzi di flaneur dell’esperienza enogastronomica.
Keynote Speaker
Gianluigi aka @insopportabile
Alessandra Guigoni Antropologa Culturale