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[MyWhy!] Emilio Casalini: “perché voglio essere felice in quanto vero”

In questa edizione BTO cerca di scoprire le motivazioni più profonde che hanno fatto muovere i primi passi di grandi e piccole imprese che sono diventate punti di riferimento nel mondo del turismo online e non solo.

Abbiamo voluto conoscere il perché di alcuni speaker di BTO 2016, l’ispirazione che li rende speciali, che li differenzia da coloro che partono dal cosa o dal come. Abbiamo chiesto loro di condividere con noi quel sogno che li spinge giorno dopo giorno a costruire l’unicità della loro impresa, quella chiave di volta che permette loro di pensare, agire e comunicare la loro identità.

Ecco il secondo, il racconto di Emilio Casalini.

Nome
Emilio

Cognome
Casalini

Quanti anni hai?
47

Qual è il primo pensiero che fai la mattina?
Essere cosciente che restano solo altre 20 ore per fare tutto prima che inizi un nuovo giorno.

…e il secondo?
Rimandare il tutto di dieci minuti.

Cosa fai nella vita?
Provo a fare il narratore. Ogni narrazione ha il suo linguaggio. C’è il giornalista che racconta quello che succede nel mondo che lo circonda. Lo scrittore che prova a raccontare il mondo che potrebbe essere. Il sognatore prende entrambi per mano e li fa correre più veloci.

Perché lo fai?
Perché mi sono stancato di aspettare che le cose accadano senza di me. Perché piano piano ho capito che quando apri gli occhi hai già iniziato a modificare la realtà che ti circonda. Perché c’è tantissimo di possibile da fare prima di iniziare ad arrivare all’improbabile e poi all’impossibile. Perché è bello essere protagonisti del proprio tempo e non esserne schiavi, almeno non completamente. Perché ti rendi conto che fai parte di un flusso positivo di cambiamento, di un movimento condiviso. Perché ti accorgi che cambiare le cose si può e che questo rende migliori. Perché voglio essere felice in quanto vero.

Sei riuscito a ispirare qualcuno?
A Conversano uno studente di quinta superiore, alla fine di un incontro, mi ha detto che avrebbe cambiato la scelta per l’università. E non perché le mie parole gli avessero ispirato una facoltà piuttosto che un’altra. Ma perché quella scelta fino a quel momento era figlia di un pensiero generico, banale, attendista. Mi ha salutato promettendomi che nei mesi successivi avrebbe provato a capire quale scelte fare per realizzare appieno la propria personalità.

Hai un motto?
Ka mate. Ka ora.